La pittura è sempre stata di casa a Forio, talvolta per nascita, altre per scelta, anche se in campo artistico scegliere di abitare in un luogo è sempre, in qualche modo, sinonimo anche di (ri)nascita. Cesare Calise, Giovanni Maltese, Eduard Bargheer, Aldo Pagliacci, Giuseppe 'Bolivar' Patalano, Raffaele 'Monnalisa' Di Meglio, Michele 'Peperone' Petroni, Gino Coppa, Mariolino Capuano, sono i pittori - vissuti e viventi - formatisi all’ombra del Torrione. Ciascuno di essi fedele al proprio stile e alla propria poetica: il tardo-manierismo (Calise); il verismo (Maltese); l’espressionismo (Bargheer e Gino Coppa); l’astrattismo e il figurativismo (Bolivar); il surrealismo (Monnalisa); il primitivismo naif (Peperone); il concettualismo (Capuano).
Di tutti questi, Mariolino Capuano è quello che con più forza ha cercato e, cerca ancora, di rendere immediatamente intellegibile la sua “visione del mondo”, soprattutto attraverso il ricorso all’icona, quasi onnipresente, di Pinocchio. E qui si apre un dibattito enorme, che investe la letteratura oltre che la pittura, perchè quello che andrebbe preliminarmente chiarito dinanzi a una tanto esplicita presa di posizione è a quale interpretazione critica del burattino di Carlo Collodi (all’anagrafe Lorenzini, 1826 -1890) l’artista sia più incline concettualmente. Scartata la lettura di Italo Calvino che si concentra di più sul “potere genetico” della scrittura di Lorenzini, sulla coerenza interna del modello narrativo proposto che non sul messaggio pedagogico in esso presente, restano grosso modo sul campo la lettura “saturnina”, “metamorfica”, di Asor Rosa e quella “poetico-empatica”, “civile”, di Benedetto Croce.
Asor Rosa sottolinea come la “tensione evolutiva” del protagonista - prima vegetale, poi animale, infine uomo - si svolga in ambienti prevalentemente notturni, invernali, da sempre evocativi delle paure più ancestrali, non solo quelle dei bambini, cui la fiaba è in fondo rivolta. Il filosofo napoletano arrivò a definire Le avventure di Pinocchio “il più bel libro della letteratura infantile italiana“ (XXIX capitolo del 5° volume de La letteratura della nuova Italia), sottolineando come nella mescolanza di scene di dirittura morale, gratitudine, commozione, con altre dove invece prevalgono furberia e umana debolezza, stesse un affresco potente del carattere degli italiani, in cui però, in fondo, prevaleva la “forza morale della bontà”.