In un’articolo del marzo 1943 su una rivista bolognese chiamata "Il Setaccio", un giovanissimo Pier Paolo Pasolini scrisse un brillante compendio dell’opera del pittore ischitano Luigi De Angelis (1883 - 1966).
Queste le parole di Pasolini a proposito del pittore-barbiere:
[...] "davanti ai suoi cieli sporchi dove si distendono coste appena luminose, come dolcemente atterrite, dipinte con un pennello sporco, quasi senza colore; davanti alle sue figure che spesso non sono che una goccia lucente di biacca schiacciata miseramente col pennello, contro un fondo appena macchiato di grigio, parleremmo quasi di una povera metafisica".
Più avanti:
"Insomma la povera metafisica di cui parlavamo è [...] il suo intimo modo di essere che gli dà coscienza e gli configura teoricamente e poeticamente il mondo: per questo la sua pittura si affida ad una primitività e ad una freschezza, spoglie dei loro usuali attributi, cariche invece di una confusa e opaca malinconia".
Più di trent’anni dopo, in un articolo pubblicato l’8 luglio 1974 sul quotidiano"Paese Sera", Pier Paolo Pasolini chiarisce il senso della sua denuncia culturale e politica della civiltà dei consumi che, a dire dell'intellettuale friulano, stava soppiantando la naturalezza e l’originalità del sottoproletariato italiano e mondiale. In quell’occasione, Pasolini risponde in maniera netta a Italo Calvino che l’aveva criticato, chiarendo i termini del suo rimpianto: [...] "ho nostalgia della gente povera e semplice che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone".
Favoloso!
La posizione pasoliniana ha una doppia chiave di lettura: una, immediatamente politica, e una, più profonda, esistenziale, dove il padrone è la civiltà dei consumi e la povertà, invece, è la fedeltà a un mondo semplice e frugale. Beh, se guardiamo alla vita di Luigi De Angelis ritroviamo appieno i termini del discorso pasoliniano. Un umile barbiere di Ischia Porto, padre di otto figli che, per caso, scopre il talento per la pittura a quarant’anni suonati e, nell’amore per l’arte, trova il modo di emanciparsi dalla sua umile condizione di artigiano, arrivando a esporre a
Berlino,
Zurigo,
Genova,
Firenze,
Napoli. Ciò nonostante De Angelis è rimasto tutta la vita un irregolare: artista celebrato da molti pittori del '900, molti dei quali di stanza a Ischia tra la fine degli anni '30 e gli anni '60, eppure rimasto povero, fedele alla sua attività di barbiere, e anzi, spesso descritto solo come personaggio folcloristico, l’artista della domenica che, pur sprovvisto di qualsiasi tecnica, si cimenta con la difficile arte della pittura.
Un altro grande critico e giornalista, Paolo Ricci, teorizzò, a proposito dell’arte di Luigi De Angelis e di
Aniellantonio Mascolo, l’esistenza di una "
scuola ischitana", meravigliandosi del fatto che da un ambiente e un paesaggio così ricco di scorci e vedute, uscissero invece artisti con una profondità espressiva così diversa da un banale vedutismo panoramico. Ricci, nel bellissimo libro "Artisti dell’Isola d’Ischia" (
a cura di Massimo Ielasi, Società Editrice Napoletana, 1982), in sostanziale affinità di vedute con Pasolini, si è spinto addirittura a definire De Angelis "
un grande artista proletario", interprete di "
un accorato e crudo discorso sulla condizione dell’uomo nella società arcaica del Sud, [...]
un discorso realistico perchè legato al popolo [...]
e perché fatto dall’interno del mondo popolare”.
Luigi De Angelis è stato dunque un proletario che, come diceva Pasolini, si è battuto per il suo popolo, immaginando e sperando però che rimanesse fedele a se stesso, al pari di quanto egli ha testimoniato con vita e opere.